Giacomo
Falomo diceva che il lampone piu’ pregiato era quello
della Valle di Ledis (zona montana situata tra Gemona e Venzone),
probabilmente per la natura del terreno, che è ricco
di Sali minerali, e per l’ottima esposizione al sole,
di cui il frutto ha particolare bisogno. Ma il lampone proveniva
anche da altre località e precisamente dalla zona di
Bordano, dal versante nord del Monte Cuar, lungo il sentiero
(divenuto recentemente pista forestale) che conduce all’omonima
malga, e dai dintorni di Avasinis,
in comune di Trasaghis. C’è che afferma che provenisse
anche da Resia e dalla Carnia, ritirato prima da Antonio Serafini
col carro e piu’ tardi da altri dipendenti col furgone.
Nella valle di Ledis, comunque, ci sono varie zone ben precise,
in cui crescevano piu’ numerosi e ricchi di frutti gli
arbusti del lampone (frambuars): il Livinal, i Pocius, il
Legnàm, la Bombatine, Scric e la Cite, a est di Prabunel,
in Comune di Venzone. Ciascuna di queste zone si distingue
a sua volta in altre piu’ puntualmente individuate.
Così nel Livinal si trovano il Foran da Moede, il Plan
das Scjelis e l’Aghedorie dal Gran Cret; nei Pocius
la Livine Curte, il Foran da Lope e il Forna dai Ciocs; nel
Legnàm il Cerviul, lis Cortatis, la Forche Troncons
e la Fontane dal Cuel dal Signor; nella Bombatine il Vencjareit
e lis Gleris.
Dalla
fine di luglio alla fine di agosto e oltre gruppi di cinque-dieci
persone, soprattutto donne e bambini dei borghi Stalis, Villa
e Godo di Via Cella, ognuno con in spalla una gerla (cosse),
partivano verso l’una o le due di notte per raggiungere
all’alba l’una o l’altra di queste località.
Il tempo necessario andava dalle due alle tre ore e mezza,
a seconda della meta. I contenitori usati erano i bidoni del
latte a chiusura ermetica, secchielli (cjaldirs), paioli (cjalderis),
pentolini (lavès) e tinozzine (podìns), l’importante
è che fossero di legno o di alluminio.
Lungo la strada si soleva recitare il Rosario o cantare in
allegria, uniti e contenti. Le sorelle Ines e Maria Truant
con le cugine Margherita e Franceschina Cracogna rallegravano
chiunque al loro passaggio con un coro fenomenale. Un pastore
di capre di Portis (frazione di Venzone) chiedeva loro di
intonare la sua canzone preferita, il cui ritornello diceva
all’incirca “… Rosa bella, dimmi sì,
sì, sì…”, mentre per i boscaioli
c’era un altro motivo familiare “… Oh boscaiolo,
il sole sta per tramontar, lascia il lavoro e torna al casolar…”.
Si cantavano, insomma, villotte, canti popolari e le canzoni
delle hit parade dell’epoca. In cambio di un’ondata
di allegria e magari di un po’ di tabacco, i boscaioli
davano consigli sulle zone non ancora sfruttate, piu’
ricche di frutti, “lis bolis buinis”. Dove c’era
una certa cura del bosco il lampone cresceva piu’ rigoglioso.
Ai bambini venivano raccontate storie e leggende. Incutevano
un po’ di paura, ad esempio, le storie legate alla chiesetta
di S.Agnese (ricostruita dopo i terremoti del ’76) e
al romitorio di monache, che sorgeva nei pressi, risalenti
al 13° secolo (nota 1).
Era qui collocata una croce nera, della quale nessuno conosceva
l’origine.
Da S.Agnese si seguiva il sentiero denominato Troi dal Gjal.
Lungo la salita si soleva fare una sosta anche presso il Cristo
di Pociolons. Un altro punto che incuteva timore ai bambini
era proprio la forcella di Ledis, presso la quale si trova
una piccola apertura della roccia che, per la sua particolare
forma, viene chiamata “cul (o voli) da none”.
Infatti, si raccontava che qui vivesse una vecchia signora
cattiva, la “none”, che imponeva, a chiunque varcasse
la forcella per la prima volta, di baciarle il deretano. Altri
dicevano che chiunque passasse di qui doveva buttare un pezzo
di polenta o anche solo un sassolino dentro a questa specie
di grotta, per evitare che le streghe che vi abitavano uscissero
a inseguirlo.
Nei pressi del torrente Moede si accendeva il fuoco per riscaldare
la polenta, portata da casa, e far colazione.
I gruppi di uomini partivano per lo piu’, nel tardo
pomeriggio per poi trascorrere la notte in montagna e sfruttare
anche la prima luce del mattino. Ma gli uomini raccoglitori
erano pochi; quelli che frequentavano Ledis si dedicavano
piuttosto al taglio della legna, di cui la valle è
ricca, alla falciatura dei pochi prati, alla cura del bestiame,
tenuto qui per brevi periodi, e alle carbonaie. Da giugno
a luglio venivano raccolte anche fragoline di bosco, che crescevano
piu’ fitte vicino alle carbonaie, appunto, mentre l’estate
era anche la stagione dei mirtilli neri (cirigniculis), soprattutto
nella località Scric; questi venivano poi venduti per
le strade di Gemona, in qualche caso addirittura a Udine.
Il Dott. Zagolin era uno dei piu’ assidui compratori
di mirtilli, convinto dei loro benefici effetti sulla vista.
Un’altra attività, che rendeva qualche lira nella
stagione autunnale, era la raccolta di funghi, soprattutto
chiodini, che crescevano abbondanti sui vecchi ceppi.
Per
la raccolta si appendeva un piccolo contenitore di alluminio
(la gamelute) alla cintura, e così si avevano le mani
libere per rovistare tra gli arbusti; man mano che il recipiente
si riempiva si andava a vuotarlo nel secchio o nel bidone
posto nella gerla. Questa veniva collocata tra gli arbusti,
sopra i quali veniva sistemata una pezza bianca per poter
ritrovare facilmente il punto preciso. A volte accadeva che
la pezza volasse via con il vento e che il raccolto si trovasse
solo dopo molte ricerche. In questi casi si tornava a casa
un po’ più stanche del dovuto. Per tutto l’arco
della giornata, con qualche breve sosta per mangiare un boccone,
che consisteva in una fetta di polenta e un pezzo di formaggio,
si raccoglievano i preziosi frutti, finché non si raggiungevano
i 15-20 kg a testa.
Sulla strada del ritorno succedeva talvolta che una donna
scivolasse e cadesse, rovesciando tutti i lamponi, buttando
all’aria il frutto del lavoro di una lunga giornata.
Chissà che non sia caduto anche qualche uomo! Per non
parlare poi delle lotte con le ortiche e degli incontri con
le vipere (liparis)! Quanti aneddoti legati a quegli anni
di sacrifici, ma anche di allegria, di voglia di vivere e
all’insegna del divertirsi con poco. Sui volti di molte
delle persone intervistate, non piu’ giovani, ho notato
una vena di nostalgia di quel tempo, nonostante le ristrettezze,
che quasi tutte hanno conosciuto, tante sarebbero disposte
a tornare indietro, a ritrovare quel non so che che manca
decisamente nell’era ultramoderna del 2000.
I
raccoglitori rincasavano dopo il tramonto, verso le 19.00-20.00,
comunque mai con il buio. Il lampone veniva portato subito
alla Fabbrica Falomo, per consuetudine con il bicollo (buinc),
dove in un clima animato e festoso c’era la pesa e la
paga. Il signor Giacomo rimaneva fino a tardi, anche fino
alle 22.00, ad attendere il prezioso raccolto. Egli, che viene
sempre descritto, da chi lo ha conosciuto, come un vero galantuomo,
consapevole delle difficoltà e del duro sacrificio,
in questa occasione offriva a tutti una bibita; a qualche
mamma ne dava da portare a casa ai figli.
I vecchi raccoglitori ricordano che, negli anni dell’immediato
dopoguerra, i prezzi si aggiravano sulle 120-150 lire al chilo.
Ovviamente non si trattava di grandi guadagni, ma a quel tempo
qualsiasi entrata era buona. Anna Forgiarini racconta che
con la raccolta del lampone, nei primi anni ’50, in
una quindicina di giorni riuscì, assieme a suo marito,
a mettere insieme la somma necessaria (paria £180.000)
per costruire due solette della sua casa.
La maggior parte del raccolto veniva sempre venduta a Falomo,
mentre piccole partite venivano vendute a qualche altra famiglia
benestante, che preparava lo sciroppo per conto proprio.
Una delle piu’ assidue raccoglitrici di lampone fu senz’altro
Michela (Michèlè) Tavosanis (scomparsa ai primi
di marzo del 1999), la quale lavorò anche all’interno
della fabbrica per tanti anni.
Mi piace concludere questa nota ricordando proprio la ricetta
dello sciroppo adottata da Michèlè. Nel giro
di poche ore dopo la raccolta, il lampone va spremuto (con
le mani), per evitare il formarsi della muffa. La poltiglia
che ne deriva deve riposare per due giorni. In seguito si
filtra il lampone fermentato con una tela rada, di quelle
usate per il formaggio (piece o tela dal formadi). Il succo
va portato a ebollizione con l’aggiunta di 750g di zucchero
per ogni litro e alla scorza di limone: quindi si toglie la
schiuma formatasi in superficie e si lascia raffreddare. Ecco
pronto lo sciroppo di lampone. Una variante di questa ricetta
la dà Giovanna Brusutti, la quale fa macerare i lamponi
spremuti per due giorni assieme a ½ bicchiere di aceto;
per ogni chilogrammo di liquido aggiunge 900g di zucchero;
fa poi bollire assieme ad un limone intero, di piccole dimensioni,
e ad una stecca di vaniglia.
Nota 1: La leggenda di Sella S.Agnese: si
racconta che abitasse in un castello del Monte Cumieli una
specie di Barbablu. Il figlio si era perdutamente innamorato
della figlia di un nobiluomo rivale del padre e l'aveva chiesta
invano in sposa. La giovane, rinchiusa dal padre nel convento
di S. Agnese, decise di scappare in Germania con l'innamorato.
in una notte tempestosa, tra lululo dei lupi affamati e il
sibilo del vento, la giovane conversa tentò di fuggire
attrverso una fenditura del muro, oltre il quale l'attendeva
l'amato. il sussurro del vento e uno smottamento della montagna
trassero in inganno entrambi. L'uomo credendo di essere stato
sorpreso, diede uno spintone violento all'innamorata e, quando
l'ebbe tra le braccia, scoprì che era morta con la
schiena spezzata. Disperato, scelse l'espiazione e la fuga
in Terra Santa.