Era abitudine della famiglia Falomo preparare lo sciroppo
di lampone per uso domestico, anche per le sue proprietà
terapeutiche; poi, visto che l’apprezzamento che la
specialità incontrava da parte di coloro che avevano
occasione di assaggiarlo, si decise di passare alla produzione
per scopi commerciali. Non è stato possibile conoscere
l’anno di nascita della fabbrica, ma è certo
che si dovette al signor Giacomo(foto
4 e 5) la larga diffusione e l’ascesa commerciale
del prodotto che attingeva ad un selvatico frutto del bosco.
Foto 4 - Giacomo Falomo
Foto
5 - 1934 - Giacomo Falomo fuori del suo Cafè
La fabbrica trovò
sistemazione nei locali a volte, che si trovavano sotto il
Cafè,ai quali si accedeva direttamente da via San Giovanni
(nota 1); essi
erano collegati al Cafè stesso da una scala, che saliva
dal porticato, dove erano sistemati alcuni attrezzi e il bancone
con la bilancia. Nelle… retrovie vi era l’ampia
cantina con i tini. Nella parte scoperta si trovava una fontana
con un lavatoio. L’attrezzatura della fabbrica constava
di tre torchi (turclis) di medie dimensioni, di due grandi
tini in legno di rovere (cjavei), di cinque/sei tinozze (semplis),
di due grandi caldaie di rame. All’occorrenza veniva
utilizzata anche la “lissarie” (nota
2). Dopo la seconda guerra mondiale fu acquistata
una macchina per lavare le bottiglie, che prima venivano lavate
a mano.
La ricetta dello Sciroppo Falomo rimase pressoché segreta.
Probabilmente nemmeno i coniugi Silvia e Antonio Serafini
(Butul), che – si può dire – trascorsero
la vita all’interno di quei locali, ne erano a conoscenza.
Si racconta che il signor Giacomo fosse così geloso
del suo prodotto, che, a un certo punto della lavorazione,
faceva uscire gli operai, perché non venissero a conoscenza
di quel tocco speciale, che doveva rimanere segreto.
Una volta consegnato in fabbrica, il lampone veniva sistemato
nei tini, dove si lasciava fermentare per 2-3 giorni; quindi
veniva torchiato e lasciato riposare per una notte. Infine,
si metteva a bollire il succo, senza i fondi, assieme a 8
etti di zucchero per ogni litro di succo (per renderlo piu’
denso, ma anche perché lo zucchero è antifermentativo)
e alle bucce di alcuni limoni. Probabilmente il tocco speciale
consisteva nell’aggiunta di una certa quantità
di melassa (milac). Per questa operazione venivano usate le
grandi vasche di rame stagnate all’interno. Una volta
raffreddato, il composto veniva imbottigliato. Vera Fontanelli
ricorda che era solita aiutare l’amica Nerina Falomo,
figlia di Giacomo, ad attaccare le etichette alle bottiglie
con la colla tradizionale, costituita dall’impasto di
acqua e farina fatto bollito.
Nella fabbrica lavoravano
2-3 persone fisse, che si occupavano anche della distribuzione
di vini e bibite varie; il che costituiva un’altra attività
della Ditta Falomo. Nei periodi di punta c’erano delle
assunzioni temporanee. Antonio Serafini fu certamente colui
che lavorò piu’ a lungo nella fabbrica. Il suo
compito era quello di trasportare le bibite in tutto il territorio
compreso tra la Carnia e Udine con il carro trainato dai cavalli.
La moglie era addetta a lavori di pulizia vari. Oltre ai coniugi
Serafini lavorarono alle dipendenze della Ditta anche Antonio
De Angelis, detto Toni Borse, Daniele (Nel) Grando e Caterina
Cracogna; quest’ultima negli anni ’30 e ’40
vi lavorò, per circa otto anni, con il compito di lavare
le bottiglie e di provvedere alla pulizia dei locali, come
in seguito Michela Tavosanis. Una persona era addetta alla
gestione della contabilità; per molti anni questo incarico
fu tenuto dalla signorina Cesira Gurisatti e dal 1952 al 1958
da Luciano Passarino, che si occupava anche dei problemi tecnici.
Nota 1: Fino alla metà degli anni '40
si accedeva al cortile interno attraverso un portone di legno,
sul quale compariva la scritta sbiadita "Fabbrica Acque
Gazose e Seltz", che fu poi sostituito da uno di ferro.
Nota 2:
La liscivia, in friulano lissiarie, è una vasca
di rame usata per il ranno (acqua di cenere, che si fa passare
bollente attraverso i panni da lavare) o, addirittura, la stanza
stessa utilizzata a questo scopo.